Categorie
Salute

L’arte di respirare

L’errore di ogni civiltà è di ritenersi unica portatrice di verità e la nostra medicina e la nostra scienza hanno fallito durante la pandemia proprio per la loro incapacità di vedere al di là del “credo scientifico” in cui si sono incastrate.

“L’arte del respiro” è un libro di James Nestor che mostra un altro mondo scientifico che l’umanità ha studiato da millenni e che la “moderna scienza” sistematicamente tende a rimuovere: troppi sono gli interessi economici nel propinare i prodotti delle case farmaceutiche che danno enormi guadagni. Tantissime le possibilità di curare molte malattie respirando, ma è una cura che ha profitti economici irrisori. In questo passaggio del libro, uno scienziato in poche frasi riassume gli studi millenari dell’umanità sul respiro e sull’energia vitale:


“Inevitabilmente, studiando la materia vivente e le sue reazioni, studiamo la vita stessa”. Ciò che distingue gli oggetti inanimati come i sassi dagli uccelli, le api e le foglie, è il livello di energia, o la “eccitabilità” degli elettroni all’interno degli atomi che compongono le molecole della materia. Più è facile e frequente il trasferimento di elettroni tra le molecole, più la materia è “insatura”, e dunque più viva. Szent‐Györgyi studiò le più antiche forme di vita sulla Terra, e dedusse che erano tutte fatte di “accettori di elettroni deboli”, il che significava che non riuscivano ad accogliere o rilasciare facilmente gli elettroni. Sosteneva che questa materia disponesse di meno energia, e quindi di minori probabilità di evolversi. Perciò era rimasta così com’era, a ciondolare combinando poco o niente, per milioni e milioni di anni. Alla fine l’ossigeno, il sottoprodotto di quel ciondolare, si accumulò nell’atmosfera. L’ossigeno era un forte accettore di elettroni. Le nuove creature che si evolvevano in modo da consumare ossigeno, attraevano e scambiavano molti più elettroni rispetto alle forme di vita più antiche, anaerobiche. Con questo supplemento di energia, le prime forme di vita si evolvettero con relativa velocità diventando piante, insetti e tutto il resto. “Lo stato vitale è uno stato decisamente insaturo dal punto di vista degli elettroni” scrisse Szent‐Györgyi. “La natura è semplice ma sottile”. Questa premessa si può applicare alla vita attuale sul pianeta. Più ossigeno la vita è in grado di consumare, maggiore eccitabilità degli elettroni ottiene, e più diventa animata. Quando la materia vivente è pullulante e capace di assorbire e trasferire elettroni in modo controllato, resta sana. Quando le cellule perdono la capacità di scaricare e assorbire elettroni, cominciano a deteriorarsi. “Eliminare irreversibilmente elettroni significa uccidere” scrisse Szent‐Györgyi. Questo deterioramento dell’eccitabilità degli elettroni è ciò che porta il metallo ad arrugginirsi e le foglie a diventare marroni e morire. Anche gli uomini “arrugginiscono”. Quando le cellule nei nostri corpi perdono la capacità di attirare ossigeno, scriveva sempre Szent‐Györgyi, gli elettroni al loro interno rallentano e smettono di scambiarsi liberamente con altre cellule, e questo porta a una crescita sregolata e anomala. I tessuti cominciano ad “arrugginire” in un modo molto simile agli altri materiali. Ma non lo chiamiamo “arrugginimento dei tessuti”. Lo chiamiamo cancro. E questo contribuisce a spiegare perché il cancro si sviluppa e prospera in ambienti con poco ossigeno. Il modo migliore di mantenere in salute i tessuti del corpo era imitare le reazioni che si sono evolute nella prima vita aerobica sulla Terra, ovvero inondare il nostro corpo con una presenza costante di quel “forte accettore di elettroni” che è l’ossigeno. Respirare lentamente, di meno e dal naso equilibra i livelli dei gas respiratori nel corpo e distribuisce la massima quantità di ossigeno alla massima quantità di tessuti, in modo che le nostre cellule dispongano della massima quantità di reattività elettronica. “In ogni cultura e in ogni tradizione medica precedente alla nostra, la guarigione veniva effettuata spostando l’energia” affermava Szent‐Györgyi. Lo spostamento dell’energia degli elettroni consente agli esseri viventi di restare vivi e sani per il tempo più lungo possibile. I nomi possono cambiare – prana, orenda, ch’i, ruah – ma il principio è sempre rimasto lo stesso. A quanto pareva, Szent‐Györgyi seguì questo consiglio. Morì nel 1986, a novantatré anni.


Di particolare interesse per chi pratica Tai Chi è quest’altro brano del libro:


Un’ultima parola sulla respirazione lenta. Ha anche un altro nome: preghiera.

Quando i monaci buddhisti cantano il loro mantra più conosciuto, Om Mani Padme Hum, ogni frase pronunciata dura sei secondi, con sei secondi per inalare prima che il canto ricominci. Il canto tradizionale dell’Om, il “suono sacro dell’universo” usato nel giainismo e in altre tradizioni, richiede sei secondi per cantare, con una pausa di circa sei per inalare.

Anche il canto sa ta na ma, una delle tecniche più note del Kundalini yoga, comporta sei secondi per vocalizzare, seguiti da sei secondi per inalare. Poi c’erano le antiche posizioni induiste di mano e lingua chiamate mudra. Una tecnica chiamata khechari, concepita per aiutare a migliorare la salute fisica e spirituale e guarire dalle malattie, comporta di appoggiare la lingua sul palato, in modo che sia puntata verso la cavità nasale. I respiri profondi e lenti che si eseguono in questa tecnica durano sei secondi ciascuno. Giapponesi, africani, hawaiani, nativi americani, buddhisti, taoisti, cristiani: queste culture e religioni avevano tutte sviluppato in qualche forma le stesse tecniche di preghiera, che richiedevano gli stessi schemi respiratori. E tutte, con ogni probabilità, beneficiavano dello stesso effetto calmante.

Nel 2001 i ricercatori dell’università di Pavia hanno radunato una ventina di soggetti, li hanno coperti di sensori per misurare il flusso sanguigno, la frequenza cardiaca e il feedback del sistema nervoso, poi hanno chiesto loro di recitare un mantra buddhista, oltre alla versione originale latina del rosario, il ciclo cattolico di preghiera dell’Ave Maria che viene pronunciato metà dal prete e metà dalla congregazione. Con loro stupore, hanno scoperto che il numero medio di respiri per ogni ciclo era “quasi esattamente” identico, solo un po’ più veloce del ritmo delle preghiere induiste, taoiste e native americane: 5,5 respiri al minuto.

Ma ancora più sorprendente era l’effetto che aveva questa respirazione sui soggetti. Ogni volta che seguivano lo schema della respirazione lenta, l’afflusso di sangue al cervello aumentava e i sistemi del corpo entravano in uno stato di coerenza, in cui le funzioni di cuore, circolazione e sistema nervoso sono coordinate al massimo dell’efficienza. Nel momento in cui i soggetti tornavano a respirare in modo spontaneo o a parlare, i loro cuori battevano a un ritmo un po’ più irregolare, e l’integrazione di questi sistemi pian piano si perdeva. Qualche altro respiro lento e rilassato, e tornava a essere ripristinata.

Un decennio dopo i test di Pavia, due rinomati professori e medici di New York, Patricia Gerbarg e Richard Brown, hanno sperimentato lo stesso schema di respirazione su pazienti con ansia e depressione, senza la preghiera. Alcuni di essi avevano difficoltà a respirare lentamente, quindi Gerbarg e Brown hanno consigliato loro di cominciare con un ritmo più semplice: un’inalazione di tre secondi e un’esalazione almeno della stessa lunghezza. A mano a mano che i pazienti si abituavano, le loro respirazioni diventavano più lunghe.

Il risultato è stato che il ritmo respiratorio più efficiente si ha quando sia la lunghezza delle respirazioni sia il totale di respiri al minuto si attengono a una inquietante simmetria: inspirazioni di 5,5 secondi seguiti da espirazioni di 5,5 secondi, il che equivale quasi esattamente a 5,5 respiri al minuto. Era lo stesso schema del rosario.

I risultati erano inequivocabili, anche se la pratica durava solo cinque-dieci minuti al giorno. “Ho visto pazienti trasformati dall’adozione di pratiche respiratorie regolari” ha detto Brown. Lui e Gerbarg hanno usato questa tecnica di respirazione lenta addirittura per guarire i polmoni dei superstiti dell’11 settembre che soffrivano di una tosse cronica e dolorosa causata dai detriti, una malattia terribile chiamata polmone “a vetro smerigliato”. Non esiste una cura nota per questo disturbo, eppure dopo appena due mesi i pazienti ottenevano un miglioramento significativo soltanto imparando a praticare qualche giro di respirazione lenta al giorno.

Gerbarg e Brown avrebbero scritto libri e pubblicato diversi articoli scientifici sul potere rigenerante della respirazione lenta, che si sarebbe diffusa con il nome di “respirazione risonante” o “respirazione coerente”. La tecnica non richiede nessuno sforzo reale, né tempo o grandi attenzioni. E possiamo eseguirla ovunque, in qualsiasi momento. “È una cosa privata” scriveva Gerbarg. “Nessuno capisce che lo stai facendo”.

Da molti punti di vista, questa respirazione risonante offriva gli stessi benefici della meditazione a persone che non avevano voglia di meditare. O dello yoga a persone che non amavano l’idea di alzarsi dal divano. Offriva il tocco balsamico della preghiera a persone che non erano religiose.

Cambiava qualcosa se si respirava a una frequenza di cinque o sei secondi, o se si sbagliava di mezzo secondo? No, a patto che i respiri si aggirassero attorno ai 5,5 secondi. “Abbiamo pensato che il rosario si sia evoluto anche perché si sincronizzava con i ritmi cardiovascolari intrinseci (Mayer), e per questo regalava una sensazione di benessere, e forse una aumentata sensibilità al messaggio religioso” scrivevano i ricercatori di Pavia. In altre parole, le meditazioni, le Ave Marie e decine di altre preghiere che erano state sviluppate in migliaia di anni non erano del tutto prive di fondamento. La preghiera guarisce, soprattutto quando è praticata a 5,5 respiri al minuto.


La Forma Yang tramandata dal GM° Yang Sau Chung e praticata nella International Tai Chi Chuan association, ha una durata di trenta minuti e, indovinate quanti secondi è lungo un singolo movimenti e quindi un singolo respiro?

Cinque secondi e mezzo.

Il libro dà una carrellata delle enormi potenzialità della respirazione, ma l’autore alla fine sembra anche lui confuso e scisso fra scienza olistica e scienza allopatica proprio come tutta l’umanità è confusa su quale direzione prendere per il futuro visto il vicolo cieco in cui ci siamo infilati a livello scientifico.


Nestor conclude:

La respirazione perfetta è questa: inalare per circa 5,5 secondi, poi esalare per 5,5. Equivale a 5,5 respiri al minuto, per un totale di circa 5,5 litri d’aria. Potete praticare questa respirazione perfetta per qualche minuto, o qualche ora. La massima efficienza del nostro corpo non può mai essere di troppo.

L’arte del respiro

James Nestor

Editore: Aboca (18 marzo 2021)

346 pagine, anche in italiano